Primi anni di vita e prime ispirazioni

L’infanzia del piccolo KD è simile a quella di tanti grandi di questo sport. Il papà abbandona lui e tutta la famiglia quando Kevin aveva appena 7 mesi. L’assenza di una figura paterna è sopperita, inizialmente, dalla presenza di nonna Barbara, figura fondamentale nella vita di Durant. Sarà lei a rincuorare il nipote qualche anno più tardi, quando si sentirà diverso dai suoi coetanei per via delle sue lunghe leve, con la classica frase che può svoltare la vita di un ragazzino fragile ed insicuro come Durant: “vedrai che l’altezza è una benedizione, è solo questione di tempo”. Nonna Barbara ci aveva visto giusto, e di lì a qualche anno, anche grazie alla sua altezza, il nipotino ne farà di strada.

I primi passi con la palla a spicchi

Grazie al fratello maggiore, Kevin Durant si innamora del basket. Nella palestra dove va a giocare conosce un uomo di gran cuore, Charles Craig, che si dimostrerà una figura importantissima nello sviluppo di Durant, insegnandogli tutte le basi del basket. Big Chucky, soprannome datogli da Kevin, diventò quasi un padre per lui. Tra un palleggio e l’altro Kevin cresce sempre più e sempre in una palestra ha modo di fare un’altra importantissima conoscenza. Un giorno ad allenarsi si presenta un ragazzotto talentuoso, tutto genio e sregolatezza. Un certo Michael Beasley, seconda scelta assoluta al Draft del 2008 dagli Heat, e se masticate un po’ di basket NBA non potete non aver quantomeno sentito parlare di lui. Iniziano a giocare insieme e chiaramente vincono tutto quello che c’è da vincere. Il loro rapporto si solidifica sempre di più, e diventano inseparabili.

La scelta del 35 e i primi anni NBA

Kevin sotto Coach Brown si allena giorno e notte, affinando la sua tecnica individuale che lo porta ad aggiungere movimenti su movimenti al suo repertorio. Quando sembra andare tutto bene, però, arriva la notizia che non ti aspetti…una doccia non fredda, gelata: Charles Craig, intervenuto per placare una rissa, viene ucciso con un colpo di pistola.

Aveva appena 35 anni.

35, il numero che Kevin decide di indossare e che lo accompagnerà per tutta la sua carriera cestistica. 

Al liceo Durant domina e il suo nome inizia a fare il giro della nazione. Diventa un All-American e l’anno dopo le proposte per il college abbondano. Alla fine, sceglie Texas, ma questo è solo un trampolino di lancio per quello che verrà. Nel suo anno da freshman riesce comunque ad infrangere svariati record e si dimostra pronto per il grande salto. Al Draft del 2007 viene scelto dai Seattle SuperSonics alla seconda posizione, dietro solo a Greg Oden. Sin dall’inizio si può facilmente intuire che Durant diventerà una delle Star della Lega. Subito Rookie of The Year, e, dopo che la squadra si trasferisce ad Oklahoma, al terzo anno è già il miglior marcatore della NBA, a 30 punti abbondanti ad allacciata di scarpe. Con Harden e Westbrook forma uno dei terzetti più elettrizzanti della Lega, rubando parecchi cuori.

Da eroe di Oklahoma a traditore

Nel 2011, tra un quarantello e l’altro, KD trova anche il tempo di conquistare uno dei luoghi di culto del basket più importanti al mondo: no, non è un palazzetto o una palestra, è il Rucker Park di Harlem, New York. Qui sono passati tutti i più grandi del basket e non poteva non passare pure lui. Con quattro bombe in fila si è conquistato anche La Mecca del basket, e ormai il mondo del basket è ai suoi piedi. L’anno dopo, OKC, parte come una delle favorite per il titolo. Rispettando tutti i pronostici arriva alle Finals, e sulla strada di Kevin Durant ci sono gli Heat di LeBron e Wade. A differenza di quello che molti si aspettano ha la meglio Miami, con un netto 4-1.

Negli anni successivi i Thunder non raggiungono più le Finals NBA: una volta escono al secondo turno e due volte in finale di Conference. C’è tempo però per vincere un MVP della Regular Season nel 2014, con il toccante discorso sul palco a mamma Wanda. Lei che lo ha sempre seguito e sostenuto. Dopo la seconda eliminazione consecutiva alle finali di Conference, prima per mano degli Spurs e poi per mano dei Warriors dopo essere stati in vantaggio 3-1, diventa Free Agent e prende una decisione che cambierà per sempre la sua vita: si va ai Warriors. Il mondo NBA non la prende benissimo, la città di OKC ancora meno.

Si, è veramente finita un’era.

Un guerriero con ancora tanto da raccontare

Ad Oakland, nel frattempo, sono due titoli e due MVP delle Finals in due anni, da assoluto trascinatore in una squadra non sua. In estate con KD che è di nuovo in scadenza, vedendo i fuochi d’artificio di qualche anno fa nella Free Agency, sappiamo che ci sarà da divertirsi. Perché, come il 35, su un campo da basket se ne sono visti veramente pochi.

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Dante Giordano

Nato in Roma a inizio anni 60. Appassionato di tecnologia e sport di tutti i tipi con una predilezione per la pallacanestro e il calcio gaelico. Ha iniziato a scrivere su giornali locali e testate sportive per poi dedicarsi completamente al progetto de Loschema.it.