I primi anni di vita
Karl Anthony Malone viene messo alla luce da mamma Shirley nell’estate del 1963. Karl è l’ultimo di 9 fratelli e, complice la scarsa presenza in famiglia del padre, fin da piccolo sviluppa un carattere molto forte, che sarà fondamentale lungo tutta la sua carriera. Il piccolo Malone impara prestissimo a guadagnarsi da vivere: durante la sua giovinezza passa il tempo tra battute di caccia e il taglio della legna nei boschi. Due aspetti che sicuramente hanno contribuito a crescerlo dal punto di vista fisico.
Nel tempo libero gioca a pallacanestro nei i vari campetti della Louisiana, stato in cui i neri a quei tempo non erano ben visti. Qualche anno dopo è proprio con il college di Louisiana Tech che si mette in mostra. Al primo anno fa già registrare una doppia doppia di media (21 punti e 10 rimbalzi ad ogni allacciata di scarpa) che lo fa finire ben presto sui taccuini di parecchi scout NBA. Prima di essere scelto al Draft c’è però un passaggio chiave della sua carriera. Siamo nell’estate dell’84 e “The General” Bobby Knight, l’allora coach di Team Usa, convoca Karl ad un raduno. A questo raduno c’è anche un ragazzo bianco, dalle normalissime doti fisiche, ma con qualcosa fuori dal normale: è John Stockton. Questo è solo l’inizio, ne sentiremo parlare ancora parecchio.
La carriera NBA
Karl Malone viene scelto nel Draft del 1985 con la tredicesima chiamata dagli Utah Jazz. Fin dall’inizio mette subito in mostra tutto il suo potenziale, andando costantemente in doppia doppia. In squadra con lui, nel ruolo di playmaker c’è quel ragazzo bianco conosciuto qualche mese prima. Tra i due scoppia immediatamente la scintilla, sia dentro che fuori dal campo. È l’asse play-pivot più forte di tutti i tempi. Con loro due i Jazz vanno costantemente ai playoff per tutti gli anni a venire. Il Postino, nel frattempo, continua ad evolvere il suo gioco. Ad accompagnare il suo fisico scultoreo c’è una mano educatissima ed un bagaglio tecnico di primissimo livello.
Nel 1992 la coppia Stockton-to-Malone va a Barcellona, con il Dream Team. Bastano queste due parole per far capire la fortuna che hanno avuto i tifosi dei Jazz di poterli ammirare da vicino per così tanto tempo.
Purtroppo per loro, però, durante gli anni d’oro delle loro carriere, c’è sempre stato qualcuno ad impedir ai due super amici di arrivare al tanto desiderato titolo NBA. Si, stiamo proprio parlando del numero 23 dei Chicago Bulls, Michael Jordan. Le battaglie tra Utah e Chicago alle Finals sono semplicemente “For the Ages”, da tramandare ai posteri. Nessuno si tira indietro di un centimetro e gli scontri fisici e verbali tra Karl Malone e Rodman sono libidine pura per tutti gli appassionati. Ma alla fine i Bulls, anche grazie alla loro stella, ne escono sempre vincitori. Da qui in poi Utah inizia la parabola discendente. Anche l’ultimo disperato tentativo del Postino di vincere l’anello accasandosi ai Lakers nel 2004 non termina con il risultato sperato.
36.928 punti messi a referto (secondo miglior realizzatore di sempre), due volte MVP della Regular Season, due medaglie d’oro alle Olimpiadi, 14 convocazioni all’All Star Game, una presenza costante nei quintetti All-NBA. Ma quello zero nella casella dei titoli accompagnerà, ingiustamente, sia lui che Stockton per sempre. Ma poco importa ai tifosi, perché aver potuto ammirare per così tanto tempo il play bianco e un po’ sfigatello che serviva con angoli impossibili il suo fidatissimo amico per farlo andare a canestro, valeva da solo tutto il prezzo del biglietto. E, nei nostri cuori, loro due hanno vinto sempre.