Il Milan è sempre stato uno dei club con più prestigio al mondo, essendo inoltre la seconda squadra europea e del mondo con il maggior numero di trofei internazionali ufficiali. Nella seconda metà degli anni Ottanta, un club storico del nord Italia, che soltanto pochi anni prima era sceso in Serie B per mille e più motivi – era guidato da un nuovo e quasi sconosciuto allenatore. Mano di ferro del calcio italiano e continentale, alla base la dimensione calcistica e poi i titoli. In un giro di parole, signori: il Milan di Arrigo Sacchi. E dei tre olandesi.
Alla fine di quella decade, e agli inizi degli anni Novanta, tutto il mondo calcistico dovette fare i conti davanti a una squadra che rivoluzionò il concetto del gioco a zona. Il Milan di Sacchi fu la migliore squadra del mondo dal 1989 al 1995, anche sotto la guida di Fabio Capello. Inizia il suo climax sportivo nella stagione 1988-89, nella quale riuscì subito a coronarsi campione d’Europa, oltre alla Supercoppa d’Europa e quella Intercontinentale. In meno di dieci anni vince tutto.
Dalla mano di Sacchi a una straordinaria generazione di calciatori, alfieri di una difesa memorabile, passando per i tre olandesi di un’altra galassia. La squadra rossonera segnò tutta un’epoca e vinse le Coppe più importanti in due stagioni memorabili. Il calcio italiano, caratterizzato dal catenaccio e contropiede, osservò come quel Milan – che si allontanava da quei parametri tradizionali – giocava in modo meraviglioso e inoltre sapeva vincere. Una squadra, la cui abilità difensiva fu rinforzata per dispiegare un torrente offensivo, di corsi e ricorsi avanzati che permise a Sacchi di diventare leggenda. No una qualsiasi, ma una che la ponesse tra le prime cinque squadre della storia di questo gioco.
Che squadra!
L’undici base di quella squadra era composto da Galli, Tassotti, Baresi, Costacurta, Maldini, Rijkaard, Ancellotti, Donadoni, Evani, Gullit e Van Basten. Il catenaccio era così abituale nelle squadre italiane e portato all’estremo da Trapattoni, che per Sacchi era diventata più una catena da cui slegarsi. Gli impediva di sviluppare la sua idea di calcio, più vicina all’ideale olandese di calcio totale ma con interessanti modifiche. Fu il calcio che più si avvicinò quell’Arancia Meccanica del 1974, la squadra olandese che con Cruijff in campo e Michels in panchina sfiorò il titolo mondiale
Giocavano come un blocco di 11 giocatori, sia quando c’era da attaccare che quando c’era da difendere, praticando la tattica del fuorigioco con un’aggressività e un’efficacia quasi insultante. La squadra rossonera si caratterizzò, tra le altre cose, per un pressing pressing durissimo in tutte le parti del campo. Tassotti, Maldini, Baresi e Costacurta diventeranno, come evidenziò ai suoi tempi Johan Cruijff, la prima difesa che tutti gli appassionati di calcio sanno recitare a memoria.
Il sistema di gioco si basava in una difesa a zona molto avanzata, con una pressione asfissiante e con una sincronia tra le linee a dir poco perfetta. La prolunga di Sacchi nel terreno di gioco era Franco Baresi che, giocando da libero, era l’incaricato a dare ordini e ad avanzare la linea difensiva per promuovere il fuorigioco. Non era una novità. Già Menotti giocava con gli spazi da tempo, però la differenza fondamentale era che la squadra italiana aveva inoltre una forza fisica che gli permetteva di mantenere lo stesso ordine durante tutte le partite. In questo modo poteva recuperare la palla rapidamente ed evitare che l’altra squadra potesse imporre il suo controllo del gioco, portando il rivale fino alla confusione.
Una Squadra all’avanguardia
La squadra lombarda si allenava 8 ore al giorno e Milanello, centro di allenamento, divenne il punto di riferimento di tutti i grandi del calcio mondiale. Di fatto, molti club imitarono a posteriori il laboratorio milanista con maggior o minor accuratezza.
La storia di questa leggendaria entità sportiva visse alla fine della decade degli Ottanta e iniziò negli anni Novanta. Un’epoca dorata. Fu una tappa indimenticabile per i tifosi, in cui Silvio Berlusconi con l’inestimabile collaborazione di Arrigo Sacchi creò un impero calcistico. Un impero cementato nel potere economico, nel lavoro tattico, nei tratti chiarissimamente italiani, nell’intelligenza di Franco Baresi e nella qualità dei tre olandesi chiamati Rijkaard, Gullit e Van Basten, calciatori della scuola dell’Ajax (ad eccezione di Gullit, di Haarleem, Feyenoord e Psv) che avevano ricevuto il testimone dorato da Johan Cruijff.
Insieme a loro andarono ad unirsi Giovanni Galli della Fiorentina, Donadoni dall’Atalanta, Colombo dall’Avellino, Ancelotti dalla Roma, Virdis dalla Juve, Evani dalla Sampdoria, Tassotti e… due ragazzi della primavera che arrivarono subito in prima squadre. Un giovane laterale sinistro chiamato Paolo Maldini e un centrale di nome Alessandro Costacurta. Semplicemente devastanti.
Una squadra olandese
Ruud Gullit, Marco Van Basten e Frank Rijkaard furono presi dal magnate italiano e con i giocatori chiave formarono una squadra invincibile. E incredibile. Van Basten è stato, senza alcun misero dubbio, uno dei migliori attaccanti della storia. Elegante, cinico, con infinita classe e tecnica, dominava come nessuno il tiro con entrambi i piedi. E pure di testa era incredibile. Nella memoria di tutti resta un golazo impressionante, siglato con la maglia della nazionale olandese, davanti all’ormai estinta Unione Sovietica. Destro al volo da posizione impensabile. Boom. Nell’angolo opposto.
E Ruud Gullit? Un giocatore fortissimo fisicamente, con una corsa inesauribile e con enorme qualità tecnica. A quello si univa un buon tiro dalla media distanza. Durante i suoi primi anni in Italia fu semplicemente devastante per le difese avversarie che non sapevano come contrastare tale potenza.
Proprio come Frank Rijkaard, che portava ordine tattico, forza fisica e una discreta tecnica. Un olandese. Nel senso buono del termine.
Sacchi in più di un’intervista si è lasciato sfuggire come Rijkaard fosse il meno forte, ma il più importante dei tre. Poteva giocare sia da centrale difensivo che da centrocampista, grazie alla forza fisica e la pulizia tecnica. E ogni tanto aveva in canna qualche gol pesante, come quello che decise la finale di Coppa Campioni 1989 contro il Benfica di Eriksson.
Quel Milan fu una squadra che lasciò momenti unici: da ricordare soprattutto quella cinquina fenomenale al Real Madrid de la Quinta del Buitre, con la quale vinse 5-0 nella semifinale di Coppa Campioni nel 1989. Pazzesco. E pazzesco come si “ruppe” il giocattolo. Rapidamente. Il fatto è che il calcio di Sacchi chiedeva molto sacrificio e un pezzo fuori dal puzzle faceva cadere incredibilmente i suoi tranelli tattici. Il Milan di Sacchi ha, per meriti propri, un luogo privilegiato tra le migliori squadre della storia del calcio. Grazie anche e soprattutto al vento dell’est olandese. Tattico, tecnico, fortissimamente intriso di talento.c