Era la Coppa del Mondo del 1966, e nell’immaginario collettivo rimase la vittoria dell’Inghilterra. L’unica portata a casa dalla Nazionale dei Tre Leoni. Ma quello fu anche il Mondiale deciso da un gol clamoroso in finale, di Eusebio che esplode e mostra al mondo il suo talento, della Corea del Nord. Che diventa a tutti gli effetti una parte importante del calcio mondiale. Ecco: poi c’era l’Africa, la clamorosa rinuncia a quella che avrebbe cambiato la storia di tutto il movimento di un continente intero.

C’era il Ghana, soprattutto. Con Osei Kofi che Gordon Banks paragonava addirittura a George Best: no, non scherzava quella volta da Sua Maestà. Ma l’affermazione lasciò il tempo che trovò, pure poco. E probabilmente era un’iperbole che aveva un obiettivo ben preciso: non sottovalutare una squadra che si sarebbe presentata ai nastri di partenza addirittura tra le favorite. Boom.

Il primo sogno

Ma chi ha mai sentito parlare di Kofi? Giusto, giustissimo quello che vi chiedete: però Banks lo ricordava perché in due gare amichevoli, l’africano gli aveva segnato quattro volte. Apriti cielo. E apriti ‘Wizard Dribbler’, mago del dribbling che già pregustava la vita sulle fasce durante la Coppa del Mondo del 1966. No, non vi arrivò: l’opportunità gli sfumò quando l’Africa arrivò addirittura a boicottare la fase finale del torneo. Assurdo.

E pensare che quelli erano i tempi in cui quella Nazionale aveva distrutto ogni cosa e ogni avversario: aveva vinto la Coppa d’Africa per due edizioni di fila, quella delle 1963 e del 1965. Il pensiero era fisso: diventare anche i più bravi al mondo. E Kofi l’aveva ammesso: il soprannome di ‘Black Stars’ era nato lì, era cresciuto con quelle immagini pazzesche, erano diventati l’incubo di tutte le squadre europee. E a loro piaceva: era un continuo riscatto palla al piede.

Oggi Kofi è un sacerdote, ormai troppo in là con gli anni per pensare di poter dire la sua su un campo da gioco. Però l’aveva ammesso: “Avevamo uomini intelligenti che erano pure calciatori eccezionali in campo. Avremmo potuto vincere quella Coppa del Mondo”. Chissà, del resto davvero nessuno può dirlo. Lui soltanto, forse.

La caduta

Era il momento più bello, ma allo stesso tempo quello più drammatico. Perché caddero così miseramente, le stelle nere? Tutto inizia nel 1964, la Fifa decide che le sedici contendenti alla Coppa del Mondo avrebbero seguito questa divisione: ci sarebbero state 10 squadre europee con l’Inghilterra compresa, quattro soltanto dalla zona dell’America del Sud, una dall’America Centrale e poi un posto per tre continenti: Africa, Asia e Oceania. Assurdo.

Il capo dello sport del Ghana, Ohene Djan, non si trattenne: gridò allo scandalo, dall’alto del suo potere come membro del Comitato Esecutivo Fifa. Djan invia un telegramma alla Fifa, definì ‘patetica e malsana’ la scellerata scelta. Del resto, per lui, l’Africa soltanto avrebbe dovuto avere una Nazionale al Mondiale. Almeno una. E non giocarsela. Djan, però, era stato allertato anche dal presidente del Ghana Kwame Nkrumah: nel 1957 era stato il primo a dare l’indipendenza a un paese sub-Sahariano. E volevano il rispetto dal mondo.

Non solo: l’intento di Nkrumah era quello di utilizzare il calcio come mezzo che unisse l’Africa, non che la dividesse. Djan aveva il mandato di fare di tutto per rendere il calcio africano al primo posto nel mondo. Ohene Djan era un membro della Confederation of African Football (la CAF): provò in tutti i modi a conquistare un posto nella Coppa del Mondo del 1966 insieme a un altro collega della Caf, Tessema Yidnekatchew, etiope.

Il tentativo

Oh, ci provarono. Tanto che ci provarono, alla fine erano quasi certi di avercela fatta: gli argomenti erano convincenti, Tessema addirittura si espresse con parole forti. “Una presa in giro a livello economico, politico e geografico”, tuonò in una riunione. In fondo, i due sostenevano che dovesse spettare di diritto un posto all’Africa perché le Nazionali erano migliorate in modo davvero consistente. E poi, aspetto non secondario, un eventuale playoff tra una nazionale africana e un’altra proveniente da Asia o Oceania sarebbe costata troppo.

Comunque la Fifa iniziò col sospendere il Sudafrica, per poi riammetterlo nel 1963 grazie alla promessa da parte della nazionale africana di inviare una squadra di soli bianchi alla Coppa del Mondo. E uno di soli neri quattro anni dopo. E allora, ecco che la Fifa prende di nuovo le redini del gioco: inserisce il Sudafrica, lo mette in un gruppo asiatico ed evita scontri con altre nazionali africane. Però rimanevano i playoff tra Asia, Africa e Oceania.

“Una cosa inaccettabile”, continuavano le proteste. E così, ecco la drastica decisione: nel luglio del 1964, la Caf decide per il boicottaggio. L’unica condizione per un ripensamento sarebbe stato ‘regalare’ un posto di diritto a una squadra africana. Le reazioni furono tutt’altro che calde: del resto, soltanto l’Egitto – e nel 1934 – aveva dato lustro alla Federazione in un Torneo del genere.

Le reazioni

Insomma, non era un grosso problema. Anzi. Helmut Kaser, Segretario Generale della Fifa, disse che non sarebbe stata una buona soluzione alterare quanto già stabilito, sebbene quanto proposto da Tassema fosse assolutamente ragionevole. Ecco: un contentino che però non serviva a nessuno. E il presidente Rous era d’accordo quell’idea, e così nell’ottobre del 1964 la Caf ufficializzò la decisione di non partecipare ai Mondiali del 1966.

“Avremmo vinto quella coppa”, continua a sostenere Kofi. Quella che per lui e per i suoi compagni sarebbe stata l’occasione di una vita, la possibilità di emanciparsi da una storia che è sempre stata più grande da loro. “Avremmo dovuto recriminare con la Caf per non poter disputare la Coppa del Mondo ma non sarebbe stato giusto perché avevano ragione loro. Era una truffa, c’era molto poco di chiaro in quella faccenda e la Fifa meritava tale comportamento”, le sue parole.

Quattro anni dopo, comunque, quella battaglia ebbe successo: l’Africa ottenne un posto fisso, e di diritto. Senza dover più pregare, in ginocchio o sulle fasce.