Sapevate che la storia del Napoli parte dagli inglesi? Chiedere per credere nei vicoli partenopei. Vi racconteranno la storia di mister Potts: a Napoli per una compagnia di navigazione, nel 1905 porta il calcio e fonda una società. “Naples Cricket and Football Club”, il nome. Chiaro: a cricket non c’hanno giocato mai. Ma proprio mai. Il primo stadio? Il “campo di Marte”, vicino a dove sarà costruito l’aeroporto che oggi collega la città campana con il mondo; quindi il “Mandracchio”, nei pressi del porto e situata precisamente in via Cristoforo Colombo. Il pubblico era ovviamente già presente, e già impazzito per quella che sarebbe diventata una vera e propria religione.

In molti tuttavia ritengono che il primo, vero e proprio stadio sia quello di via Campegna: si trovava dietro Campi Flegrei, una delle stazioni più bazzicate di Napoli, anche vicino all’attuale ubicazione del San Paolo. Ma a Fuorigrotta non c’erano spalti, o almeno non c’erano posti a sedere che attorniassero il campo. Le prime partite si guardavano in piedi. Tuttalpiù seduti a terra, ammirando le gesta dei campioni. E ci si inebriava di un calcio differente, comunque già magico.

Si andava all’avventura, tra i ricchi borghesi napoletani che impiegavano il tempo libero dilettandosi nel bel giuoco. E onesti mesterianti che si divertivano a vedere. Quanti tifosi, poi. Che si faceva fatica a parcheggiare all’esterno dello stadio. Terreno quasi pietroso, tutti i nobili occupavano gli spalti e… spendono. Spendono tanto. Tant’è che nel 1912 si inaugura un nuovo campo: è ad Agnano, dove oggi sorge uno degli ippodromi più importanti d’Italia. Un box dedicato agli spettatori, spogliatoi in legno e stadio che sembra un’arena. Dove lo spettacolo è garantito.

DAGLI ALBORI

Il biglietto da mezza lira, ma chi lo pagava? Anche perché nei pressi dei campi c’erano sempre buchi, spioncini, modi alternativi per gustarsi una partita tranquillamente e… gratuitamente. Ai tempi si alternavano il Naples e l’Internazionale, sorta dopo poco. E poi c’era il “Vittorio Emanuele III”: un vecchio poligono di tiro diventato stadio a tutti gli effetti. Lì si comincia a pagare, ma a mo’ di offerta ecclesiastica. Nel senso che c’era una presenza fissa, sugli spalti, volta esclusivamente a riscuotere una piccola “tassa” sullo spettacolo. Il tutto per un piccolo campetto situato all’esterno.

Pochi anni e subito partono le emozioni di un derby. Ecco: ma dove si gioca? Posillipo no, c’è l’Ilva di Bagnoli che ha un piccolo campo all’interno della fabbrica. Un campo in legno, 8mila posti in piedi. E polizia a cavallo. Come? Tutto giusto: la realtà è che il pubblico napoletano si era già dimostrato bello caldo, andando a procurarsi scazzottate e disordini di ogni genere. All’Ilva sarebbero stati più controllati e ci sarebbe stata migliore distribuzione. Chiara utopia: perché succede di tutto. Ma davvero di tutto.

Sono anni diversi, comunque. Finché non si arriva al 1926: Giorgio Ascarelli, industriale tessile, fonda il 1° agosto il Calcio Napoli, unendo Naples e Internazionale. È un grande imprenditore, Ascarelli. E una persona di conseguenza incredibilmente furba. Nello stesso anno decide di occupare un campo sportivo, uno con pista ciclistica, in una località chiamata “Arenaccia”. Lo “prende”, lo aggiusta, gli dà una capienza di 12mila posti. Quasi tutti in piedi, perché gli spalti non erano ancora di moda. E se c’erano, solo in legno o in muratura.

SITUAZIONE DIFFICILE

Insomma, le squadre “convivevano” e il gusto del pallone iniziava a farsi strada. Non era ancora una malattia, ma il potenziale era incredibile. Poi ci saranno i giocatori, a partire da Attila Sallustro, italo-paraguaiano con una tecnica sconfinata e 114 gol in 234 partite sul curriculum. Sfortunato nel trovarsi Giuseppe Meazza davanti in Nazionale, ma fortunato ad approdare in una realtà come quella azzurra che lo riempiva quotidianamente di affetto. Intanto l’Arenaccia diventa il “Generale Albricci”, resta di proprietà militare. E ospita pure il ciclismo. Nasce così lo stadio “Vesuvio”, vicino alla stazione centrale. Il quartiere Luzzati n’è ben felice, ha tribune in legno in tutti e quattro i lati. E fino al 1930, quando il CONI e il comune si destano, resta l’impianto di maggiore voga sul suolo partenopeo.

1933, poi 34. Il Napoli lascia l’Ascarelli: deve sottoporsi a una ristrutturazione che partirà dalle fondamenta. Arriva il Mondiale, bisogna essere preparati. Viene raddoppiata la capienza e si cambia nome: ecco lo “Stadio Partenopeo”. Qualcuno pensa a uno sgarbo nei confronti di Ascarelli: l’imprenditore era ebreo, e al Vomero ora vige il fascismo. Si gioca Germania-Austria, finale di 3° posto del Mondiale. Poi la guerra. E il bombardamento del 1942, che spegne tutte le ambizioni e i sogni fatti cemento dell’ex patron.Tempo dopo, lo stesso stadio sarà chiamato “Collana”. E sarà casa Napoli per 15 anni.

L’arrivo di Achille Lauro cambia tanto. C’è tanto fermento, più del solito, attorno alla squadra. Nel 46′, in una partita col bari, Lustha segna il primo gol e fa crollare una curva. Oltre 110 persone ferite. La resistenza del Collana era crollata sotto i colpi della passione. In attesa del San Paolo, Napoli pullulava di istanti in quelle quattro mura fatte divertimento e ambizione.

CON MARADONA

60240 posti, per il San Paolo. Che è cambiato negli anni e che è diventato l’appartamento del miglior giocatore che si sia visto su questo pianeta. A Fuorigrotta nasce una nuova era del Napoli, fatta di sogni realizzati, convinti. Di sfrenata frenesia e di amore incondizionato per la maglia. Nell’impianto partenopeo si contano oltre 70mila abbonamenti, con Maradona si va oltre. Tempi in cui il terzo anello c’è, funziona e soprattutto è a norma.

Beppe Savoldi, gli scudetti, le forti lotte. Il Napoli rappresentava un unicum incredibile: dava speranza e ispirava a lottare contro le grandi potenze del calcio. Era una squadra differente, caricata da uno stadio con la pista d’atletica, ma che non aveva mai avuto i tifosi così vicini. Quante volte si è detto che il San Paolo ha cambiato le sorti di una gara? Tutto vero e certificato. Dalla storia.

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Alfredo Castiglione Marinetti

Alfredo nasce nella provincia di Milano, cresce a pane e calcio frequenta i campi da quando era poco più che un ragazzino. Appassionato di calcio inglese scrive articoli sportivi da quando era 20enne. Oggi collabora con Loschema.it e fa parte del progetto dalla nascita.